Per l'accesso ai mercati Halal più importanti, quali Indonesia, Malesia, Singapore, Brunei, Sudafrica, etc., le aziende europee, e in particolare quelle italiane, devono avvalersi di una
certificazione Halal valida e riconosciuta. Questi mercati infatti contano il 70% del giro d'affari del mercato mondiale Halal, che supera i 3 mila miliardi di dollari all’anno. Nel mondo esistono 4.000-5.000 certificatori Halal, ma solo 90-100 di questi enti sono riconosciuti a livello internazionale. Le sostanze critiche che comprometterebbero lo status Halal dei prodotti, sono comunemente raggruppate per convenzione nelle seguenti macrocategorie:
- animali carnivori e onnivori: tra cui suini, felini, rapaci e derivati
- derivati degli animali che non siano stati macellati secondo il rito islamico (ad esclusione di latte, uova e miele);
- alcol etilico/sostanze inebrianti;
- insetti e derivati (es. E120);
- asino domestico e derivati (ad esempio: il latte d’asina)
- derivati dell’uomo (ad esempio: aminoacidi estratti da capelli);
- sangue e derivati;
- sostanze dannose per la salute umana.
L’elenco di sostanze critiche è da ritenersi come linea guida generale e le singole realtà aziendali presentano delle casistiche a se stanti, da valutare una volta avviato l’iter di certificazione e le necessarie procedure di analisi previste. Il
mercato dei prodotti Halal ha avuto nel tempo una crescita esponenziale. Questo è dovuto non soloo all’aumento demografico di fedeli musulmani in tutto il mondo e, in particolare, in Europa, ma anche dal continuo evolversi delle tecnologie industriali impiegate nei processi produttivi in tutti i settori merceologici e di servizi. Queste infatti aumentano la possibilità di contaminazione del prodotto finale che giunge ai consumatori.